L'insostenibilità della Serie C. I modelli virtuosi da seguire esistono: il caso dell'F.C. Südtirol

Vicenza Calcio. Modena F.C.. Ecco le ultime due società a cui i rispettivi tifosi e le rispettive realtà cittadine, hanno dovuto organizzare il funerale. Solo 21 anni fa (stagione 1996/1997) il Vicenza Calcio alzava la Coppa Italia e l'anno dopo riusciva addirittura ad arrivare in semifinale di Coppa delle Coppe, essendo esclusa poi dalla medesima competizione per merito del Chelsea F.C.. Il Modena F.C. invece, che nel proprio palmarès può vantare una Coppa Italia di Serie C, ha calcato i campi della Serie A per ben 13 volte nella sua storia e quelli della Serie B per 50 campionati.
Ora queste squadre sono diventate cosa passata e tra nomi di club altisonanti e altri che meno riecheggiano nei nostri ricordi calcistici, è possibile affermare che i club italiani che negli ultimi 15 anni hanno dovuto alzare bandiera bianca senza potersi iscrivere al rispettivo campionato di competenza, sono addirittura 146. Un numero mostruoso, se si pensa alla recidività con cui un sistema riesce con tanta frequenza a stringere un cappio intorno al collo di uno sport e delle sue squadre, che rappresentano milioni di tifosi, di appassionati, (e detto in termini venali e materialisti) di profitti.
Concentrandosi sulla Serie C (o vecchia Lega Pro), secondo un'indagine de La Repubblica, protratta nel 2015, la spesa media sostenuta annualmente da un club ad essa partecipante, si aggira intorno ad una cifra di 4,2 milioni di euro all'anno. Il valore medio delle entrate è invece di 3,1 milioni, con una perdita media per esercizio pari a 1,1 milioni. Un altro dato importante è dato dall'incidenza degli stipendi sui costi fissi societari, che raggiunge addirittura il 78%. Ma i numeri più sconcertanti arrivano dall'incidenza dei debiti sul totale delle attività societarie, vicina addirittura all'86%.
In sostanza, stipendi troppo alti e netta insostenibilità nella differenza tra perdite ed entrate, hanno causato fallimenti a ripetizione. La cosa più preoccupante però, è il silenzio delle istituzioni calcistiche italiane su questo argomento.
Situazioni drammatiche di calciatori professionisti soggetti ad uno stipendio al minimo sindacale, persone come tante con famiglia a carico, affitto, mutuo e bollette, costretti alla dura realtà di non essere pagati un euro senza alcun minimo di tutela, ugualmente a tutto lo staff societario, arrivando fino ai magazzinieri.
La Serie C dovrebbe essere ben altro: un campionato per giovani, la cui crescita dovrebbe apportare enormi migliorie in termini qualitativi alle squadre delle categorie superiori e quindi al sistema calcistico italiano nella sua interezza. Un campionato a basso costo e ad altissimo rendimento. Attualmente la Serie C, è invece un campionato che va in direzione totalmente contraria. Le domande sulla tematica rischiano di sprecarsi. Perché il costo degli stipendi arriva addirittura a rappresentare i 3/4 dei costi divenendo insostenibile? Perché non si procede ad un regime di Salary Cap con un tetto fisso degli stessi? Perché la Lega in questione non agevola la situazione permettendo una serie incontrollabile di fallimenti? Perché, non si effettua a priori una selezione di quelle squadre che mostrano vere e proprie sacrosante garanzie, in grado di poter permettere di portare a termine un campionato senza lasciare nulla al caso? Soprattutto perché non si seguono modelli virtuosi e ben funzionanti già presenti e viventi da anni?
Un modello poco conosciuto ma ben funzionante, è quello proprio del Fussball Club Südtirol, società di Bolzano, da anni ormai realtà stabile proprio della Serie C Italiana. L'F.C. Südtirol ha promosso infatti l'azionariato popolare, mezzo con cui coinvolgere in maniera definitiva i propri sostenitori, aumentando in maniera tangibile il loro coinvolgimento, rendendo gli stessi concretamente parte attiva del progetto societario, contribuendo alla crescita e allo sviluppo del club.
La proprietà condivisa, è un modello che favorisce la vita di una società per il semplice fatto che i proprietari, tendono ad aiutarsi reciprocamente fornendo una continuità aziendale in grado di oltrepassare anche i momenti finanziari difficili. Nello specifico, il 90% dell'F.C. Südtirol è in mano a 30 soci (di cui il principale socio detiene solo il 25%), mentre il 10% restante è affidato ai tifosi, che con una quota fissa di 50 euro l'anno, si ritrovano anch'essi ad essere proprietari e parte attiva del club.
L'F.C. Südtirol è anche la prima società italiana ad aver imposto un tetto salariale (ovvero il Salary Cap) agli stipendi: il proprio budget annuale non supera i 3,5 milioni di euro e lo stipendio massimo versato è di 40 mila euro annui. Questa manovra aziendale ha portato l'F.C. Südtirol ad avere una rosa con una media d'età molto bassa, che si aggira intorno ai 23 anni: è anche fondamentale sottolineare come la stessa compagine altoatesina possa vantare nella medesima rosa, una decina di calciatori che provengono direttamente dal proprio settore giovanile. Perché il settore giovanile biancorosso è sostenuto con investimenti annuali pari al 30% del proprio budget totale.
Il Comune della città di Bolzano inoltre, comprendendo il grado di diffusione e la bontà del progetto, ha contribuito con la costruzione di un centro di allenamento all'avanguardia e con la ristrutturazione dell'impianto di gioco dell'F.C. Südtirol, ovvero lo stadio "Druso". Si può quindi desumere che un progetto concreto di sviluppo calcistico, può avere la capacità di attrarre anche l'attenzione e la partecipazione cittadina, migliorando le utenze a disposizione dell'intera comunità. Anche questo è il potere e l'opportunità del calcio.
Gli esempi virtuosi in Italia ci sono e l'unica soluzione per la Serie C, sembra essere esclusivamente quella basata sul finanziamento dei settori giovanili e sul coinvolgimento di più soci per quanto attiene alla proprietà societaria, ovvero con la chiamata in causa dei sostenitori e degli appassionati, ramificando maggiormente le proprietà ed estendendo il rischio.
Le soluzioni evidentemente esistono. I modelli di studio sono lì da vedere e analizzare, ma dovrebbe esistere anche un'istituzione efficiente e lungimirante in grado anche solo di prenderli in considerazione.


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