FIGC, la solita storia all'italiana: quando la politica viene prima di altri valori e soprattutto del calcio

Un giorno solamente separa dalle elezioni del Presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Ormai si parla più di questo che di calcio giocato, che passa per l'ennesima volta in secondo piano. Perché in secondo piano c'è già stato più e più volte, soprattutto da quando il Dio denaro e i "nuovi politici dello sport", hanno iniziato a farla da padroni.
C'era confusione mesi fa, ma questo marasma sta proseguendo e ci accompagnerà non solo fino alle elezioni, ma anche dopo. Perché osservando i programmi dei tre candidati, logicamente con il massimo dell'umiltà possibile, si può percepire che qualcosa manchi, manchi eccome.
Prima di tutto, il sistema calcistico italiano è in mano agli ex calciatori fondamentalmente. Ottimi atleti sul campo sicuramente, ma probabilmente meno adatti a rivestire cariche dirigenziali: bastano un paio di mesi di formazione a Coverciano per diventare dei bravi direttori amministrativi? Perché l'aver giocato a livelli professionistici rappresenta il modo per ricevere il punteggio più alto in graduatoria per accedere allo stesso corso (più del doppio di una laurea magistrale)? Conta di piú l'immagine del calciatore della sostanza curricolare? Sarebbe come chiedere ad un operatore d'officina o di una catena di produzione che svolge il lavoro da 20 anni, di diventare direttore del reparto amministrativo contabile dell'azienda per cui lavora, dopo solo un corso riassuntivo bimestrale. Credo che nonostante abbia un'esperienza incredibile in fabbrica, se calato nella nuova realtá, non saprebbe dove mettere le mani.
Sotto gli occhi di tutti è pure la situazione che si vive nella LND, dove una gran parte degli addetti ai lavori si trova nelle proprie posizioni dirigenziali grazie agli sponsor portati in società e quindi alla liquidità che riescono a portare alla stessa (senza la quale molti club scomparirebbero domani): ed é sotto gli occhi di tutti. Un sistema come quello dilettantistico, che raccoglie centinaia di squadre e nella quale potrebbe risiedere un paniere di giovani potenziali talenti, può essere condizionato da questi personaggi, che da dare hanno solo il potere economico di un versamento pecuniario?
Gli argomenti che si possono tirare in ballo sono molteplici.
Il calcio femminile, che all'estero funziona, con una struttura economica e finanziaria valida, intorno a cui le relative federazioni hanno creato dei binari di crescita notevoli, oltre ad aver generato diffusione e interesse a livello nazionale e internazionale. In Italia é l'ultima ruota del carro calcistico.
Un piano economico da seguire e che possa permettere preventivamente di capire con chiarezza, chi possa effettivamente partecipare ad un campionato professionistico e chi no, evitando fallimenti e situazioni disastrose per i dipendenti del club nel bel mezzo del campionato.
La modifica della distribuzione dei ricavi derivanti dai diritti televisivi, con una necessaria rivisitazione della Legge Melandri, che pone i nostri Senatori nella posizione forte di difendere la propria squadra del cuore da una loro pericolosa nuova redistribuzione (cosa che potrebbe finalmente riequilibrare e rinvigorire il campionato italiano): voi sareste favorevoli alla revisione della legge, consapevoli che in tal modo tendereste a ridurre i ricavi televisivi del vostro amato club? Non credo.
E ancora: una spinta doverosa verso la costruzione di impianti sportivi d'allenamento decenti, come requisito fondamentale per essere un club professionistico a norma, che la federazione si impegna a supportare economicamente, servendo un trattamento opposto a chi non vuole investire in tale ambito.
Un'organizzazione infine, che ci permetta di avere onestà e trasparenza, che non obblighi a percepire malaffare, padroni occulti e accordi presi sottobanco, fino ai livelli massimi della piramide.
Il problema insomma, è enorme e dotato di centinaia di sfaccettature. Il calcio italiano ha bisogno di competenza, meritocrazia e strutture efficienti. Il calcio è diventato un'industria e necessita dell'adeguato funzionamento contemporaneo di questi tre elementi.
Nell'Italia sportiva (e non solo), sembra invece che l'unica cosa che possa effettivamente contare per arrivare all'apice di un sistema economico e politico, sia quasi esclusivamente il "consenso". Non importa che ci siano persone mille volte meritocraticamente più dotate a svolgere un ruolo, se per quella stessa posizione si candida un soggetto in grado di accaparrarsi il consenso. Un dramma tutto all'italiana, dove anche se le cose sostanzialmente non funzionano da tempo, negli anni tendono a vedersi sempre quelle stesse dieci facce, che sugli schermi si pugnalano, ma a telecamere e a microfoni spenti, sanno di remare dalla stessa identica parte, quella che riserverà loro la stessa maledetta poltrona.
Al calcio italiano manca la forza di spazzare via chi negli anni ha fallito. Basta guardarsi intorno per vedere che all'estero ci sono federazioni molto più moderne e leghe che hanno intrapreso le vie di sviluppo più attuali, con determinazione e chiarezza, con persone giuste, meritatamente al posto giusto. Sistemi in cui si premiano le competenze e i curriculum eccellenti. Sistemi in cui chi sbaglia paga: insomma completamente diversi da quello italiano.

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