VERGOGNA! Il Fatto Quotidiano contesta il fermo del campionato per la morte di Davide Astori

Ieri è stata una giornata colma di angoscia, quasi surreale. Il capitano della Fiorentina Davide Astori ha perso la vita in un modo tragico, quanto impensabile. Personalmente, mi ritrovo sbigottito dal fatto che un ragazzo della mia generazione e della mia città, sia potuto morire in questo modo.
Sono ben pochi i commenti che si possono aggiungere al cordoglio generale mostrato da una Nazione intera, con la quasi totalità degli appassionati calcistici che oggi hanno accantonato i propri colori di appartenenza unendosi in un rispettoso e comune silenzio. Perchè davanti a questi drammi, non si può far altro che stare in silenzio. Almeno per un giorno.
Con la doverosa umiltà che mi pervade e che deve avere una persona che ha maturato poche esperienze in tema di pubblicazioni, mi sento di dover condannare pesantemente l'articolo de Il Fatto Quotidiano, uno scritto indecente che contesta i fermi dei campionati di Serie A e di Serie B per la scomparsa di Davide Astori ("Davide Astori morto, ecco perchè rinviare le partite di A e B è stata una scelta sbagliata: è buonismo, non buon senso" di Lorenzo Vendemiale). Ripeto, almeno davanti alla morte, nessuno dovrebbe avrebbe diritto di parola e d'opinione se non per un consuetudinario dovere di cronaca.
Il signor Vendemiale, nel suo articolo, si chiede come mai il campionato italiano non si sia fermato il 21 gennaio 2017, tre giorni dopo la tragedia del Rigopiano costata ben 29 morti, maturata in territorio abruzzese. Chiede inoltre il motivo per cui il calcio italiano non abbia avuto interruzione dopo il terremoto ad Amatrice e la ragione per la quale il calcio estero (in paticolare quello francese), non si sia arrestato dopo le diverse stragi terrostiche che hanno interessato in passato Parigi. Il signor Vendemiale denuncia con ciò una netta disparità di trattamento tra i calciatori e la gente "normale": perchè per la morte di un calciatore professionista, la macchina del calcio impone l'interruzione al campionato, mentre per le morti di persone non famose il calcio può continuare come se nulla fosse?
Probabilmente il signor Vendemiale non è stato ad Amatrice, o se c'è stato non ha proteso al meglio il proprio udito e la propria attenzione: l'odore di morte che ho respirato tra le polveri di una cittadina che non c'era più, lasciando il posto sì, alla disperazione per chi era scomparso, ma anche all'immediata voglia di reagire e di ricostruire tutto ciò che il terremoto si era portato via. Fermare il calcio per Amatrice sarebbe stato controproducente proprio per le persone che avevano la brama di reagire sin da subito. Fermare qualcosa che appassiona e diverte in un momento già drammatico e pieno di tristezza, non può che aumentare il peso dell'angoscia che si tende a respirare. Fermare invece il calcio per la morte di Astori era doveroso, perchè si tratta di uomo che era parte di questo movimento sportivo in grado di attrarre, divertire e distaccare la gente comune dai problemi quotidiani per 90 minuti a settimana.  
Non si può giocare come se nulla fosse, sapendo che un protagonista di tale mondo è morto tragicamente solo qualche ora prima. È doveroso provare a giocare invece, quando il fine è quello di divertire e distrarre chi sta soffrendo. Il calcio ieri, non ha chiesto all'Italia intera di fermarsi. Come l'Italia intera non ha chiesto al calcio di fermarsi quando si sono verificate queste tragedie "popolari". Perchè il calcio, o meglio, lo sport in generale, è un mezzo per divertirsi, per unire e per andare oltre. Oltrepassare anche il dolore delle tragedie. Quando un suo protagonista scompare però, è lecito che il sipario possa scendere per una sola maledetta domenica.
La morte non crea disparità, perchè è l'unica ad essere uguale per tutti. La disparità è creata dalle parole (e in questo caso da articoli di giornale) che sarebbe meglio non pronunciare e non scrivere, evitando rovinose cadute di stile e alterando un sacrosanto silenzio, che dovrebbe essere l'unica risposta consona dinnanzi ad essa.




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